mercoledì 29 febbraio 2012

La "fede adulta", secondo Papa Benedetto



In questi ultimi decenni, abbiamo vissuto anche un altro uso della parola «fede adulta». Si parla di «fede adulta», cioè emancipata dal Magistero della Chiesa. Fino a quando sono sotto la madre, sono fanciullo, devo emanciparmi; emancipato dal Magistero, sono finalmente adulto. Ma il risultato non è una fede adulta, il risultato è la dipendenza dalle onde del mondo, dalle opinioni del mondo, dalla dittatura dei mezzi di comunicazione, dall’opinione che tutti pensano e vogliono. Non è vera emancipazione, l’emancipazione dalla comunione del Corpo di Cristo! Al contrario, è cadere sotto la dittatura delle onde, del vento del mondo. La vera emancipazione è proprio liberarsi da questa dittatura, nella libertà dei figli di Dio che credono insieme nel Corpo di Cristo, con il Cristo Risorto, e vedono così la realtà, e sono capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.

Mi sembra che dobbiamo pregare molto il Signore, perché ci aiuti ad essere emancipati in questo senso, liberi in questo senso, con una fede realmente adulta, che vede, fa vedere e può aiutare anche gli altri ad arrivare alla vera perfezione, alla vera età adulta, in comunione con Cristo.

Papa Benedetto XVI
Incontro con i Parroci di Roma
23 febbraio 2012

sabato 25 febbraio 2012

La prima volta di Moraglia a Venezia



"E' un'applauso sulla fiducia!"

Venerdì 24 marzo 2012, Mons. Moraglia per la prima volta a Venezia, nel Palazzo Patriarcale.

mercoledì 15 febbraio 2012

I 30 anni di Ratzinger nella Città eterna

Un bel ritratto del "Pastore mite che non indietreggia davanti ai lupi".


di Giovanni Maria Vian

Trent’anni fa, il 15 febbraio 1982, veniva resa pubblica la notizia che Giovanni Paolo II, venendo incontro al desiderio del cardinale Joseph Ratzinger, lo sollevava dal governo pastorale della diocesi di Monaco e Frisinga. 
Il 25 novembre precedente, infatti, il cinquantaquattrenne porporato tedesco era stato nominato dal Papa prefetto del primo dicastero della Curia romana, la Congregazione per la Dottrina della Fede. Così, dopo avere tenuto ancora per quasi tre mesi la guida della grande arcidiocesi bavarese, in quei giorni di febbraio Ratzinger si trasferì a Roma. Qui già era venuto vent’anni prima, nel 1962, per trascorrervi tutto il tempo del concilio come consulente teologico di uno dei protagonisti del Vaticano II, l’arcivescovo di Colonia cardinale Joseph Frings.
In seguito, il brillante teologo a Roma era tornato diverse volte, soprattutto dopo il 1977, quando era stato nominato vescovo di Monaco e creato cardinale da Paolo VI nel suo ultimo concistoro. Nel primo conclave del 1978 Ratzinger conobbe di persona il metropolita di Cracovia, il cardinale Karol Wojtyła, e nel secondo contribuì alla sua elezione, convinto — come ha scritto nel 2004 — che fosse «il Papa per l’ora presente». Solo pochi mesi più tardi, nel 1979, Giovanni Paolo II lo convocò per proporgli di assumere l’incarico di prefetto dell’organismo curiale preposto all’educazione cattolica, ma l’arcivescovo di Monaco non si sentì di lasciare la diocesi dopo solo due anni di governo. Il Pontefice lo voleva però accanto a sé e, nel febbraio 1981, comunicò al cardinale l’intenzione di nominarlo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, vincendo tuttavia le sue ultime resistenze solo nell’autunno successivo.
Dal febbraio 1982 il porporato tedesco non ha più lasciato Roma. Nonostante il trascorrere degli anni e il desiderio di tornare a tempo pieno alla vita di studio alla quale si è sempre sentito chiamato, Giovanni Paolo II gli ha infatti chiesto di restare con lui come responsabile dell’organismo dottrinale della Curia romana e, di fatto, come suo principale consigliere teologico. Per quasi un quarto di secolo, dalla sede romana i due uomini hanno così sostenuto insieme la Chiesa — tertio millennio adveniente e poi novo millennio ineunte — nella transizione secolare, sulla via dell’uomo dei nostri giorni. Accompagnando questa umanità e testimoniandole che Dio è vicino, come ha sempre fatto nel corso della storia chi ha saputo seguire davvero Gesù, nonostante colpe e imperfezioni umane presenti anche nella Chiesa.

Nel 2005 poi a Joseph Ratzinger è stato chiesto ancora di più al momento della rapidissima elezione in conclave, un’elezione non cercata in alcun modo e che il cardinale ha accettato con quella semplice serenità che impressiona chi lo avvicina anche solo per un momento. 

«Non lo conosco, ma ha gli occhi buoni» disse qualche giorno dopo un’anziana popolana romana. Ecco, in questi anni di pontificato Benedetto XVI ha saputo ogni giorno di più trasmettere — e non solo ai suoi fedeli — quanto ha confidato nel 2006 a Monaco davanti alla Mariensäule, la colonna innalzata in onore di Maria: di sentirsi cioè, secondo l’interpretazione agostiniana di un salmo, come un animale da tiro che fatica sotto la guida del contadino, ma nello stesso tempo è molto vicino al suo padrone, il Signore Gesù, e per questo non teme il male.
Questo sentimento di totale fiducia in Dio si legge già alla fine del prezioso racconto autobiografico del cardinale che, nel 1997, ripensava al suo primo mezzo secolo di vita. Oggi, a trent’anni dall’inizio del periodo romano di questo mite pastore che non indietreggia davanti ai lupi, è nitido il profilo della maturità di un pontificato che passerà alla storia, dissolvendo come fumo stereotipi duri a morire e contrastando comportamenti irresponsabili e indegni. Questi finiscono per intrecciarsi a clamori mediatici, inevitabili e certo non disinteressati, ma che bisogna saper cogliere come occasione di purificazione della Chiesa.

Pontefice di pace che vuole ravvivare la fiamma del primato di Dio, Benedetto XVI è perfettamente coerente con la sua storia. Una storia segnata da uno sguardo ampio che nel trentennio romano ha sempre cercato un respiro mondiale ed è stata caratterizzata da un’opera d’innovazione e purificazione perseguita con coraggio, tenacia e pazienza, nella consapevolezza che nottetempo nel campo il nemico semina zizzania. 

Per questo il Papa indica senza stancarsi la necessità del rinnovamento continuo (ecclesia semper reformanda), ricordando che la santità della Chiesa non sarà offuscata se, nell’ascolto della verità, resta vicina all’unico Signore.

lunedì 13 febbraio 2012

Il nuovo anello per il Concistoro

Dal libretto preparato dall'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, ecco la prima immagine del nuovo anello che Papa Benedetto XVI consegnerà ai 22 Cardinali nel prossimo Concistoro, sabato 18 febbraio.


"Il gambo rappresenta una colonna stilizzata, di quelle che ornano la Basilica di San Pietro, e sorregge un castone a forma di croce contenente una formella in bassorilievo.

Sulla formella sono raffigurati i Santi Pietro e Paolo, ripresi dalle statue antistanti la Basilica, a rappresentare la fede e l’annuncio missionario.

Al centro, tra i due Santi, quasi a illuminarli, c’è una stella a otto punte, chiaro riferimento Mariano.

All’interno, sotto la formella, trova posto lo stemma di Papa Benedetto XVI, sempre in bassorilievo".

giovedì 9 febbraio 2012

Gesù contemporaneo: l'esperienza efficace dell'Eucaristia



Oggi come a Emmaus
Card. Angelo Scola

dall'Osservatore Romano, 9.02.12


Anticipiamo un breve stralcio dell’intervento che il cardinale arcivescovo di Milano terrà giovedì 9 febbraio a Roma, all’Auditorium Conciliazione, nella giornata di apertura dell’incontro «Gesù nostro contemporaneo» organizzato (fino all’11 febbraio) dal Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana.

«Il racconto circa i discepoli di Emmaus (cfr. Luca, 24, 13-35) descrive il cammino fatto insieme, la conversazione nella comune ricerca, come un processo in cui il buio delle anime pian piano si rischiara grazie all’accompagnamento di Gesù (cfr. v. 15). Si rende evidente che Mosè e i Profeti, che “tutte le Scritture” avevano parlato degli eventi di questa passione (cfr. v. 26s): l’“assurdità” si rivela ora nel suo profondo significato. Nell’avvenimento apparentemente privo di senso si è in realtà schiuso il vero senso del cammino umano; il senso ha riportato la vittoria sulla potenza della distruzione e del male» (Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret II, pp. 227-228).
Un avvenimento che non si poteva prevedere illumina tutte le Scritture. I due discepoli lo riconoscono. Sperimentano una sorprendente corrispondenza tra il rimprovero di Gesù e la loro ragione (per l’antropologia ebraica il “cuore”): «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Luca, 24, 32).
L’episodio di Emmaus previene il rischio, sempre incombente, di una riduzione intellettualistica dell’interpretazione. È il gesto “sacramentale” di Gesù, lo spezzare il pane, quello che apre gli occhi ai discepoli che possono così riconoscerlo (cfr. Luca, 24, 31). Oggi, come allora, la testimonianza della risurrezione di Gesù ci raggiunge in «gesti e parole intrinsecamente unite». Per la potenza dello Spirito, a noi oggi accade di fare la stessa esperienza dei due di Emmaus, attraverso parole vere e gesti sacramentali che in modo efficace realizzano quello che significano.
La contemporaneità eucaristica del Risorto all’umana libertà, assicurata sacramentalmente nell’Eucaristia per l’opera dello Spirito, è espressione della novità della risurrezione, da non confondere mai con la mera sopravvivenza. Infatti, come afferma Ratzinger - Benedetto XVI, «potremmo considerare la risurrezione quasi come una specie di radicale salto di qualità in cui si dischiude una nuova dimensione della vita, dell’essere uomini» (Gesù di Nazaret II, 303). Si comprende, allora, perché la Chiesa, fin dall’inizio, parli dell’Eucaristia come pignus futurae gloriae e perché l’abbia sempre considerata come la “testimonianza” per eccellenza della presenza di Cristo in mezzo a noi.
Il cuore di ogni uomo di ogni tempo e luogo, per quanto confuso possa essere il suo incedere lungo la strada della vita, grida il bisogno di salvezza. Che enigma mai sono io che ora sono, ieri non ero e domani non sarò? Ogni uomo, magari nelle più profonde e poco sondabili fibre del suo essere, invoca un Salvatore. Ma la questione delle questioni è che può salvare solo uno che sia vittorioso per sempre sulla morte e che nel presente si relazioni gratuitamente con me.
L’ha intuito Kafka in una celebre lettera a Milena: «Lei continuamente impara a proprie spese che si può salvare un altro soltanto mediante la propria esistenza» (Lettera a Milena, 31 luglio 1920).
Gesù il crocifisso risorto, colui che ha affermato «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Giovanni, 10,30), ha il potere di salvarmi, di liberarmi dal peccato e dalla morte perché continua ad offrirsi tangibilmente alla libertà di ogni uomo attraverso la sua Chiesa con la consolante promessa: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Matteo, 18, 20).
Egli è il contemporaneo Salvatore che ci raggiunge qui e ora, e nel presente ci fa pregustare l’eterno.

sabato 4 febbraio 2012

Quando il Vangelo diventa "twittabile"

Il Vangelo in 140 caratteri
Anche su Twitter le parole di Gesù


dall'Osservatore Romano, 5.02.12

Con la misura con la quale misurate sarete misurati; chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto; dai loro frutti li riconoscerete: che cosa hanno in comune tra loro queste frasi tratte dai vangeli di Luca (6, 38) e di Matteo (7, 8 e 16)? Che sono perfettamente “twittabili”, ecco cosa. Infatti stanno tutte nel pacchetto dei 140 caratteri che il trespolo virtuale da cui ormai tutti o quasi cinguettano (in inglese, tweet) ha fissato come standard.
Non è solo questione di lunghezza però: in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato. Quale massima meglio di questa può riassumere in meno di 140 caratteri tutto lo spirito dei tempi? Fossero frasi dette da un politico avrebbero un successo dilagante sulla piattaforma di citazioni più popolare al mondo: Twitter, appunto. Meglio di qualunque Bob Dylan, Nietzsche o Trilussa, ovvero gli autori che vanno per la maggiore nel continuo rimpallo della rete.
L’attualità del formato divulgativo di un testo due volte millenario è, a guardar bene, strabiliante. Lo ha capito meglio di tutti il cardinale Ravasi che — popolarissimo su Twitter — riesce a mettere insieme in un flusso perfettamente armonico e pieno di senso Pasternak, John Lennon, Pavese, Feuerbach, Karl Kraus e, appunto, il Vangelo. Questa operazione riesce certo grazie alle doti di abile divulgatore della Parola quale è il porporato, ma di certo è facilitata dalla straordinaria contemporaneità della fonte evangelica dalla quale preleva piccole perle giornaliere che, come una colonna sonora per lo spirito, confortano e ci illuminano nel vivere odierno così ansiogeno e costantemente bisognoso di aggiornamenti o di continui entusiasmi.
Insomma, il Vangelo è una ricchezza che risulta perfettamente matura all’orecchio contemporaneo, che l’ascolta magari per la prima volta e, spesso, non più durante la messa domenicale. Il contesto liturgico infonde meraviglia e sapienza storica, dando pieno significato alla Parola, ma in un ventenne di oggi disincantato e a corto di senso storico potrebbe non suscitare quello stupore che la parola di Cristo ha invece sempre risvegliato nei cuori umani.
In rete, specialmente su Twitter, lo scenario è completamente diverso. In un mondo che cambia rapidamente la parola dei Vangeli può riacquistare anche con questo mezzo per moltissime persone la forza e il fulgore delle origini. E in rete non c’è soluzione di continuità formalmente rimarchevole tra un quote di Pascal o di Kierkegaard e uno tratto dal Vangelo.
Come al tempo dello sbarco degli spagnoli nelle terre del nuovo mondo, quando lo scopo dei missionari era quello di annunciare a interi popoli la Parola, oggi si apre una nuova era alla divulgazione evangelica. Con una missione certamente non facile, ma carica di nuovo entusiasmo e di fervore.
Alcuni lo hanno già capito: oltre al cardinale Ravasi, anche il gesuita Antonio Spadaro, che dirige «La Civiltà Cattolica», è attivissimo in rete (www.cyber-theology.net). Insomma, da Twitter viene un cinguettio che invita a ripensare nuovi modi di comunicare la fede. Per far sì che gli user facciano proprie le parole che non passano.

giovedì 2 febbraio 2012

L'esorcismo del Papa in Piazza San Pietro



Da TMNews, via "La Vigna del Signore"

C'è anche un rito esorcistico operato da Papa Ratzinger del maggio 2009 in Piazza San Pietro, nel libro "L'ultimo esorcista" scritto dall'esorcista Gabriele Amorth e del giornalista Paolo Rodari, in uscita il 7 febbraio.

"E' mercoledì, il giorno dell'Udienza generale", racconta il sacerdote in un brano anticipato domani da Panorama. "I fedeli sono arrivati da tutto il mondo. Dal fondo della piazza entra un gruppetto di quattro persone. Due donne e due giovani uomini. Le donne sono due mie assistenti. Mi aiutano durante gli esorcismi, pregano per me e per i posseduti e assistono per quanto è loro possibile i posseduti nel loro lungo e difficile percorso di liberazione. I due giovani uomini sono due posseduti. Nessuno lo sa. Lo sanno soltanto loro e le due donne che li 'scortano'". Quando suonano le "10" dall'arco delle campane, il portone a fianco della basilica vaticana, esce una jeep bianca. Sopra tre uomini. Un guidatore, il Papa in piedi e, seduto al suo fianco, il suo segretario particolare monsignor Georg Gänswein. Le due donne si girano verso Giovanni e Marco. Istintivamente li sorreggono con le braccia. I due, infatti, iniziano ad avere comportamenti strani. Giovanni trema e batte i denti. Le due donne capiscono che qualcuno sta cominciando ad agire nel corpo di Giovanni e di Marco. Qualcuno che col passare dei minuti si mostra sempre più agitato". Il racconto prosegue: "Il Papa scende dall'auto e saluta le persone poste nelle prime file. Giovanni e Marco, insieme, iniziano a ululare. Sdraiati per terra ululano. Ululano fortissimo. 'Santità, santità, siamo qui!', urla al Papa una delle due donne cercando di attirare la sua attenzione. Benedetto XVI si gira ma non si avvicina. Vede le due donne e vede i due giovani uomini per terra che urlano, sbavano, tremano, danno in escandescenze. Vede lo sguardo d'odio dei due uomini. Uno sguardo diretto contro di lui. Il Papa non si scompone. Guarda da lontano. Alza un braccio e benedice i quattro. Per i due posseduti è una scossa furente. Una frustata assestata su tutto il corpo. Tanto che cadono 3 metri indietro, sbattuti per terra. Adesso non urlano più. Ma piangono, piangono, piangono. Gemono per tutta l'udienza. Quando poi il Papa se ne va, rientrano in se stessi. Tornano se stessi. E non ricordano nulla".