mercoledì 28 marzo 2012

Il Papa ai giovani: "Siate sempre lieti nel Signore!"


Messaggio di Papa Benedetto XVI
per la XXVII Giornata Mondiale della Gioventù

Cari giovani,

sono lieto di rivolgermi nuovamente a voi, in occasione della XXVII Giornata Mondiale della Gioventù. Il ricordo dell’incontro di Madrid, lo scorso agosto, resta ben presente nel mio cuore. E’ stato uno straordinario momento di grazia, nel corso del quale il Signore ha benedetto i giovani presenti, venuti dal mondo intero. Rendo grazie a Dio per i tanti frutti che ha fatto nascere in quelle giornate e che in futuro non mancheranno di moltiplicarsi per i giovani e per le comunità a cui appartengono. Adesso siamo già orientati verso il prossimo appuntamento a Rio de Janeiro nel 2013, che avrà come tema «Andate e fate discepoli tutti i popoli!» (cfr Mt 28,19).
Quest’anno, il tema della Giornata Mondiale della Gioventù ci è dato da un’esortazione della Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi: «Siate sempre lieti nel Signore!» (4,4). La gioia, in effetti, è un elemento centrale dell’esperienza cristiana. Anche durante ogni Giornata Mondiale della Gioventù facciamo esperienza di una gioia intensa, la gioia della comunione, la gioia di essere cristiani, la gioia della fede. È una delle caratteristiche di questi incontri. E vediamo la grande forza attrattiva che essa ha: in un mondo spesso segnato da tristezza e inquietudini, è una testimonianza importante della bellezza e dell’affidabilità della fede cristiana.
La Chiesa ha la vocazione di portare al mondo la gioia, una gioia autentica e duratura, quella che gli angeli hanno annunciato ai pastori di Betlemme nella notte della nascita di Gesù (cfr Lc 2,10): Dio non ha solo parlato, non ha solo compiuto segni prodigiosi nella storia dell’umanità, Dio si è fatto così vicino da farsi uno di noi e percorrere le tappe dell’intera vita dell’uomo. Nel difficile contesto attuale, tanti giovani intorno a voi hanno un immenso bisogno di sentire che il messaggio cristiano è un messaggio di gioia e di speranza! Vorrei riflettere con voi allora su questa gioia, sulle strade per trovarla, affinché possiate viverla sempre più in profondità ed esserne messaggeri tra coloro che vi circondano.

1. Il nostro cuore è fatto per la gioia

L’aspirazione alla gioia è impressa nell’intimo dell’essere umano. Al di là delle soddisfazioni immediate e passeggere, il nostro cuore cerca la gioia profonda, piena e duratura, che possa dare «sapore» all’esistenza. E ciò vale soprattutto per voi, perché la giovinezza è un periodo di continua scoperta della vita, del mondo, degli altri e di se stessi. È un tempo di apertura verso il futuro, in cui si manifestano i grandi desideri di felicità, di amicizia, di condivisione e di verità, in cui si è mossi da ideali e si concepiscono progetti.
E ogni giorno sono tante le gioie semplici che il Signore ci offre: la gioia di vivere, la gioia di fronte alla bellezza della natura, la gioia di un lavoro ben fatto, la gioia del servizio, la gioia dell’amore sincero e puro. E se guardiamo con attenzione, esistono tanti altri motivi di gioia: i bei momenti della vita familiare, l’amicizia condivisa, la scoperta delle proprie capacità personali e il raggiungimento di buoni risultati, l’apprezzamento da parte degli altri, la possibilità di esprimersi e di sentirsi capiti, la sensazione di essere utili al prossimo. E poi l’acquisizione di nuove conoscenze mediante gli studi, la scoperta di nuove dimensioni attraverso viaggi e incontri, la possibilità di fare progetti per il futuro. Ma anche l’esperienza di leggere un’opera letteraria, di ammirare un capolavoro dell’arte, di ascoltare e suonare musica o di vedere un film possono produrre in noi delle vere e proprie gioie.
Ogni giorno, però, ci scontriamo anche con tante difficoltà e nel cuore vi sono preoccupazioni per il futuro, al punto che ci possiamo chiedere se la gioia piena e duratura alla quale aspiriamo non sia forse un’illusione e una fuga dalla realtà. Sono molti i giovani che si interrogano: è veramente possibile la gioia piena al giorno d’oggi? E questa ricerca percorre varie strade, alcune delle quali si rivelano sbagliate, o perlomeno pericolose. Ma come distinguere le gioie veramente durature dai piaceri immediati e ingannevoli? Come trovare la vera gioia nella vita, quella che dura e non ci abbandona anche nei momenti difficili?

2. Dio è la fonte della vera gioia

In realtà le gioie autentiche, quelle piccole del quotidiano o quelle grandi della vita, trovano tutte origine in Dio, anche se non appare a prima vista, perché Dio è comunione di amore eterno, è gioia infinita che non rimane chiusa in se stessa, ma si espande in quelli che Egli ama e che lo amano. Dio ci ha creati a sua immagine per amore e per riversare su noi questo suo amore, per colmarci della sua presenza e della sua grazia. Dio vuole renderci partecipi della sua gioia, divina ed eterna, facendoci scoprire che il valore e il senso profondo della nostra vita sta nell’essere accettato, accolto e amato da Lui, e non con un’accoglienza fragile come può essere quella umana, ma con un’accoglienza incondizionata come è quella divina: io sono voluto, ho un posto nel mondo e nella storia, sono amato personalmente da Dio. E se Dio mi accetta, mi ama e io ne divento sicuro, so in modo chiaro e certo che è bene che io ci sia, che esista.
Questo amore infinito di Dio per ciascuno di noi si manifesta in modo pieno in Gesù Cristo. In Lui si trova la gioia che cerchiamo. Nel Vangelo vediamo come gli eventi che segnano gli inizi della vita di Gesù siano caratterizzati dalla gioia. Quando l’arcangelo Gabriele annuncia alla Vergine Maria che sarà madre del Salvatore, inizia con questa parola: «Rallegrati!» (Lc 1,28). Alla nascita di Gesù, l’Angelo del Signore dice ai pastori: «Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11). E i Magi che cercavano il bambino, «al vedere la stella, provarono una gioia grandissima» (Mt 2,10). Il motivo di questa gioia è dunque la vicinanza di Dio, che si è fatto uno di noi. Ed è questo che intendeva san Paolo quando scriveva ai cristiani di Filippi: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). La prima causa della nostra gioia è la vicinanza del Signore, che mi accoglie e mi ama.
E infatti dall’incontro con Gesù nasce sempre una grande gioia interiore. Nei Vangeli lo possiamo vedere in molti episodi. Ricordiamo la visita di Gesù a Zaccheo, un esattore delle tasse disonesto, un peccatore pubblico, al quale Gesù dice: «Oggi devo fermarmi a casa tua». E Zaccheo, riferisce san Luca, «lo accolse pieno di gioia» (Lc 19,5-6). E’ la gioia dell’incontro con il Signore; è il sentire l’amore di Dio che può trasformare l’intera esistenza e portare salvezza. E Zaccheo decide di cambiare vita e di dare la metà dei suoi beni ai poveri.
Nell’ora della passione di Gesù, questo amore si manifesta in tutta la sua forza. Negli ultimi momenti della sua vita terrena, a cena con i suoi amici, Egli dice: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore... Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,9.11). Gesù vuole introdurre i suoi discepoli e ciascuno di noi nella gioia piena, quella che Egli condivide con il Padre, perché l’amore con cui il Padre lo ama sia in noi (cfr. Gv 17,26). La gioia cristiana è aprirsi a questo amore di Dio e appartenere a Lui.
Narrano i Vangeli che Maria di Magdala e altre donne andarono a visitare la tomba dove Gesù era stato posto dopo la sua morte e ricevettero da un Angelo un annuncio sconvolgente, quello della sua risurrezione. Allora abbandonarono in fretta il sepolcro, annota l’Evangelista, «con timore e gioia grande» e corsero a dare la lieta notizia ai discepoli. E Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!» (Mt 28,8-9). E’ la gioia della salvezza che viene loro offerta: Cristo è il vivente, è Colui che ha vinto il male, il peccato e la morte. Egli è presente in mezzo a noi come il Risorto, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20). Il male non ha l’ultima parola sulla nostra vita, ma la fede in Cristo Salvatore ci dice che l’amore di Dio vince.
Questa gioia profonda è frutto dello Spirito Santo che ci rende figli di Dio, capaci di vivere e di gustare la sua bontà, di rivolgerci a Lui con il termine «Abbà», Padre (cfr Rm 8,15). La gioia è segno della sua presenza e della sua azione in noi.

3. Conservare nel cuore la gioia cristiana

A questo punto ci domandiamo: come ricevere e conservare questo dono della gioia profonda, della gioia spirituale?
Un Salmo ci dice: «Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore» (Sal 37,4). E Gesù spiega che «il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo» (Mt 13,44). Trovare e conservare la gioia spirituale nasce dall’incontro con il Signore, che chiede di seguirlo, di fare la scelta decisa di puntare tutto su di Lui. Cari giovani, non abbiate paura di mettere in gioco la vostra vita facendo spazio a Gesù Cristo e al suo Vangelo; è la strada per avere la pace e la vera felicità nell’intimo di noi stessi, è la strada per la vera realizzazione della nostra esistenza di figli di Dio, creati a sua immagine e somiglianza.
Cercare la gioia nel Signore: la gioia è frutto della fede, è riconoscere ogni giorno la sua presenza, la sua amicizia: «Il Signore è vicino!» (Fil 4,5); è riporre la nostra fiducia in Lui, è crescere nella conoscenza e nell’amore di Lui. L’«Anno della fede», che tra pochi mesi inizieremo, ci sarà di aiuto e di stimolo. Cari amici, imparate a vedere come Dio agisce nelle vostre vite, scopritelo nascosto nel cuore degli avvenimenti del vostro quotidiano. Credete che Egli è sempre fedele all’alleanza che ha stretto con voi nel giorno del vostro Battesimo. Sappiate che non vi abbandonerà mai. Rivolgete spesso il vostro sguardo verso di Lui. Sulla croce, ha donato la sua vita perché vi ama. La contemplazione di un amore così grande porta nei nostri cuori una speranza e una gioia che nulla può abbattere. Un cristiano non può essere mai triste perché ha incontrato Cristo, che ha dato la vita per lui.
Cercare il Signore, incontrarlo nella vita significa anche accogliere la sua Parola, che è gioia per il cuore. Il profeta Geremia scrive: «Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore» (Ger 15,16). Imparate a leggere e meditare la Sacra Scrittura, vi troverete una risposta alle domande più profonde di verità che albergano nel vostro cuore e nella vostra mente. La Parola di Dio fa scoprire le meraviglie che Dio ha operato nella storia dell’uomo e, pieni di gioia, apre alla lode e all’adorazione: «Venite, cantiamo al Signore... adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti» (Sal 95,1.6).
In modo particolare, poi, la Liturgia è il luogo per eccellenza in cui si esprime la gioia che la Chiesa attinge dal Signore e trasmette al mondo. Ogni domenica, nell’Eucaristia, le comunità cristiane celebrano il Mistero centrale della salvezza: la morte e risurrezione di Cristo. E’ questo un momento fondamentale per il cammino di ogni discepolo del Signore, in cui si rende presente il suo Sacrificio di amore; è il giorno in cui incontriamo il Cristo Risorto, ascoltiamo la sua Parola, ci nutriamo del suo Corpo e del suo Sangue. Un Salmo afferma: «Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo!» (Sal 118,24). E nella notte di Pasqua, la Chiesa canta l’Exultet, espressione di gioia per la vittoria di Gesù Cristo sul peccato e sulla morte: «Esulti il coro degli angeli... Gioisca la terra inondata da così grande splendore... e questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa!». La gioia cristiana nasce dal sapere di essere amati da un Dio che si è fatto uomo, ha dato la sua vita per noi e ha sconfitto il male e la morte; ed è vivere di amore per lui. Santa Teresa di Gesù Bambino, giovane carmelitana, scriveva: «Gesù, è amarti la mia gioia!» (P 45, 21 gennaio 1897, Op. Compl., pag. 708).

4. La gioia dell’amore

Cari amici, la gioia è intimamente legata all’amore: sono due frutti inseparabili dello Spirito Santo (cfr Gal 5,23). L’amore produce gioia, e la gioia è una forma d’amore. La beata Madre Teresa di Calcutta, facendo eco alle parole di Gesù: «si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35), diceva: «La gioia è una rete d’amore per catturare le anime. Dio ama chi dona con gioia. E chi dona con gioia dona di più». E il Servo di Dio Paolo VI scriveva: «In Dio stesso tutto è gioia poiché tutto è dono» (Esort. ap. Gaudete in Domino, 9 maggio 1975)
Pensando ai vari ambiti della vostra vita, vorrei dirvi che amare significa costanza, fedeltà, tener fede agli impegni. E questo, in primo luogo, nelle amicizie: i nostri amici si aspettano che siamo sinceri, leali, fedeli, perché il vero amore è perseverante anche e soprattutto nelle difficoltà. E lo stesso vale per il lavoro, gli studi e i servizi che svolgete. La fedeltà e la perseveranza nel bene conducono alla gioia, anche se non sempre questa è immediata.
Per entrare nella gioia dell’amore, siamo chiamati anche ad essere generosi, a non accontentarci di dare il minimo, ma ad impegnarci a fondo nella vita, con un’attenzione particolare per i più bisognosi. Il mondo ha necessità di uomini e donne competenti e generosi, che si mettano al servizio del bene comune. Impegnatevi a studiare con serietà; coltivate i vostri talenti e metteteli fin d’ora al servizio del prossimo. Cercate il modo di contribuire a rendere la società più giusta e umana, là dove vi trovate. Che tutta la vostra vita sia guidata dallo spirito di servizio, e non dalla ricerca del potere, del successo materiale e del denaro.
A proposito di generosità, non posso non menzionare una gioia speciale: quella che si prova rispondendo alla vocazione di donare tutta la propria vita al Signore. Cari giovani, non abbiate paura della chiamata di Cristo alla vita religiosa, monastica, missionaria o al sacerdozio. Siate certi che Egli colma di gioia coloro che, dedicandogli la vita in questa prospettiva, rispondono al suo invito a lasciare tutto per rimanere con Lui e dedicarsi con cuore indiviso al servizio degli altri. Allo stesso modo, grande è la gioia che Egli riserva all’uomo e alla donna che si donano totalmente l’uno all’altro nel matrimonio per costituire una famiglia e diventare segno dell’amore di Cristo per la sua Chiesa.
Vorrei richiamare un terzo elemento per entrare nella gioia dell’amore: far crescere nella vostra vita e nella vita delle vostre comunità la comunione fraterna. C’è uno stretto legame tra la comunione e la gioia. Non è un caso che san Paolo scriva la sua esortazione al plurale: non si rivolge a ciascuno singolarmente, ma afferma: «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil 4,4). Soltanto insieme, vivendo la comunione fraterna, possiamo sperimentare questa gioia. Il libro degli Atti degli Apostoli descrive così la prima comunità cristiana: «spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2,46). Impegnatevi anche voi affinché le comunità cristiane possano essere luoghi privilegiati di condivisione, di attenzione e di cura l’uno dell’altro.

5. La gioia della conversione

Cari amici, per vivere la vera gioia occorre anche identificare le tentazioni che la allontanano. La cultura attuale induce spesso a cercare traguardi, realizzazioni e piaceri immediati, favorendo più l’incostanza che la perseveranza nella fatica e la fedeltà agli impegni. I messaggi che ricevete spingono ad entrare nella logica del consumo, prospettando felicità artificiali. L’esperienza insegna che l’avere non coincide con la gioia: vi sono tante persone che, pur avendo beni materiali in abbondanza, sono spesso afflitte dalla disperazione, dalla tristezza e sentono un vuoto nella vita. Per rimanere nella gioia, siamo chiamati a vivere nell’amore e nella verità, a vivere in Dio.
E la volontà di Dio è che noi siamo felici. Per questo ci ha dato delle indicazioni concrete per il nostro cammino: i Comandamenti. Osservandoli, noi troviamo la strada della vita e della felicità. Anche se a prima vista possono sembrare un insieme di divieti, quasi un ostacolo alla libertà, se li meditiamo più attentamente, alla luce del Messaggio di Cristo, essi sono un insieme di essenziali e preziose regole di vita che conducono a un’esistenza felice, realizzata secondo il progetto di Dio. Quante volte, invece, costatiamo che costruire ignorando Dio e la sua volontà porta delusione, tristezza, senso di sconfitta. L’esperienza del peccato come rifiuto di seguirlo, come offesa alla sua amicizia, porta ombra nel nostro cuore.
Ma se a volte il cammino cristiano non è facile e l’impegno di fedeltà all’amore del Signore incontra ostacoli o registra cadute, Dio, nella sua misericordia, non ci abbandona, ma ci offre sempre la possibilità di ritornare a Lui, di riconciliarci con Lui, di sperimentare la gioia del suo amore che perdona e riaccoglie.
Cari giovani, ricorrete spesso al Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione! Esso è il Sacramento della gioia ritrovata. Domandate allo Spirito Santo la luce per saper riconoscere il vostro peccato e la capacità di chiedere perdono a Dio accostandovi a questo Sacramento con costanza, serenità e fiducia. Il Signore vi aprirà sempre le sue braccia, vi purificherà e vi farà entrare nella sua gioia: vi sarà gioia nel cielo anche per un solo peccatore che si converte (cfr Lc 15,7).

6. La gioia nelle prove

Alla fine, però, potrebbe rimanere nel nostro cuore la domanda se veramente è possibile vivere nella gioia anche in mezzo alle tante prove della vita, specialmente le più dolorose e misteriose, se veramente seguire il Signore, fidarci di Lui dona sempre felicità.
La risposta ci può venire da alcune esperienze di giovani come voi che hanno trovato proprio in Cristo la luce capace di dare forza e speranza, anche in mezzo alle situazioni più difficili. Il beato Pier Giorgio Frassati (1901-1925) ha sperimentato tante prove nella sua pur breve esistenza, tra cui una, riguardante la sua vita sentimentale, che lo aveva ferito in modo profondo. Proprio in questa situazione, scriveva alla sorella: «Tu mi domandi se sono allegro; e come non potrei esserlo? Finché la Fede mi darà forza sempre allegro! Ogni cattolico non può non essere allegro... Lo scopo per cui noi siamo stati creati ci addita la via seminata sia pure di molte spine, ma non una triste via: essa è allegria anche attraverso i dolori» (Lettera alla sorella Luciana, Torino, 14 febbraio 1925). E il beato Giovanni Paolo II, presentandolo come modello, diceva di lui: «era un giovane di una gioia trascinante, una gioia che superava tante difficoltà della sua vita» (Discorso ai giovani, Torino, 13 aprile 1980).
Più vicina a noi, la giovane Chiara Badano (1971-1990), recentemente beatificata, ha sperimentato come il dolore possa essere trasfigurato dall’amore ed essere misteriosamente abitato dalla gioia. All’età di 18 anni, in un momento in cui il cancro la faceva particolarmente soffrire, Chiara aveva pregato lo Spirito Santo, intercedendo per i giovani del suo Movimento. Oltre alla propria guarigione, aveva chiesto a Dio di illuminare con il suo Spirito tutti quei giovani, di dar loro la sapienza e la luce: «È stato proprio un momento di Dio: soffrivo molto fisicamente, ma l’anima cantava» (Lettera a Chiara Lubich, Sassello, 20 dicembre 1989). La chiave della sua pace e della sua gioia era la completa fiducia nel Signore e l’accettazione anche della malattia come misteriosa espressione della sua volontà per il bene suo e di tutti. Ripeteva spesso: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io».
Sono due semplici testimonianze tra molte altre che mostrano come il cristiano autentico non è mai disperato e triste, anche davanti alle prove più dure, e mostrano che la gioia cristiana non è una fuga dalla realtà, ma una forza soprannaturale per affrontare e vivere le difficoltà quotidiane. Sappiamo che Cristo crocifisso e risorto è con noi, è l’amico sempre fedele. Quando partecipiamo alle sue sofferenze, partecipiamo anche alla sua gloria. Con Lui e in Lui, la sofferenza è trasformata in amore. E là si trova la gioia (cfr Col 1,24).

7. Testimoni della gioia

Cari amici, per concludere vorrei esortarvi ad essere missionari della gioia. Non si può essere felici se gli altri non lo sono: la gioia quindi deve essere condivisa. Andate a raccontare agli altri giovani la vostra gioia di aver trovato quel tesoro prezioso che è Gesù stesso. Non possiamo tenere per noi la gioia della fede: perché essa possa restare in noi, dobbiamo trasmetterla. San Giovanni afferma: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi... Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena» (1Gv 1,3-4).
A volte viene dipinta un’immagine del Cristianesimo come di una proposta di vita che opprime la nostra libertà, che va contro il nostro desiderio di felicità e di gioia. Ma questo non risponde a verità! I cristiani sono uomini e donne veramente felici perché sanno di non essere mai soli, ma di essere sorretti sempre dalle mani di Dio! Spetta soprattutto a voi, giovani discepoli di Cristo, mostrare al mondo che la fede porta una felicità e una gioia vera, piena e duratura. E se il modo di vivere dei cristiani sembra a volte stanco ed annoiato, testimoniate voi per primi il volto gioioso e felice della fede. Il Vangelo è la «buona novella» che Dio ci ama e che ognuno di noi è importante per Lui. Mostrate al mondo che è proprio così!
Siate dunque missionari entusiasti della nuova evangelizzazione! Portate a coloro che soffrono, a coloro che sono in ricerca, la gioia che Gesù vuole donare. Portatela nelle vostre famiglie, nelle vostre scuole e università, nei vostri luoghi di lavoro e nei vostri gruppi di amici, là dove vivete. Vedrete che essa è contagiosa. E riceverete il centuplo: la gioia della salvezza per voi stessi, la gioia di vedere la Misericordia di Dio all’opera nei cuori. Il giorno del vostro incontro definitivo con il Signore, Egli potrà dirvi: «Servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone!» (Mt 25,21).
La Vergine Maria vi accompagni in questo cammino. Ella ha accolto il Signore dentro di sé e l’ha annunciato con un canto di lode e di gioia, il Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,46-47). Maria ha risposto pienamente all’amore di Dio dedicando la sua vita a Lui in un servizio umile e totale. E’ chiamata «causa della nostra letizia» perché ci ha dato Gesù. Che Ella vi introduca in quella gioia che nessuno potrà togliervi!

Dal Vaticano, 15 marzo 2012

BENEDICTUS PP. XVI

mercoledì 21 marzo 2012

Le proposte di un Convegno Diocesano...



Predica noiosa? Falla tu
Insolita proposta uscita ieri dal Convegno Ecclesiale della Diocesi
Il Gazzettino, Lunedì 19 Marzo 2012

L'omelia della messa è troppo noiosa? Il sacerdote prima di stenderla si confronti con i suoi fedeli. E perché no, una tantum, all'ambone si rechi una coppia di sposi o una suora per portare la propria testimonianza. La benedizione alle famiglie non si fa più perché i preti sono sempre meno e sempre più anziani? Al loro posto ci pensino dei laici, ben preparati. Separati e divorziati si ritrovano spesso emarginati dalla Chiesa e impossibilitati ad accostarsi all'Eucaristia? Per loro ecco dei percorsi di fede e di preghiera appositamente pensati, per renderli parte viva della comunità.

Sognano una Chiesa così i 700 delegati che ieri, insieme al vescovo monsignor Corrado Pizziolo, hanno solennemente concluso i lavori del quarto Convegno Ecclesiale della Diocesi di Vittorio Veneto. Una Chiesa, quella di San Tiziano, che vuole essere «sempre più madre e sempre meno matrigna». E di spunti, nei nove mesi di lavoro a vari livelli, ne sono emersi parecchi.

«Vanno rilanciati - ha detto il vicario monsignor Martino Zagonel - i gruppi settimanali di ascolto della Parola, anche come aiuto ai sacerdoti per preparare l'omelia così che le loro parole attraversino la vita delle persone. C'è l'urgenza che la comunità cristiana diventi più coraggiosa ed efficace nell'annuncio e nella testimonianza del Vangelo». Le chiese, è stato detto, devono essere aperte quotidianamente, e già si pensa ad una chiesa in cui ci possa essere l'adorazione perpetua.

Una proposta concreta è quella di far fare ai ragazzi la prima Comunione successivamente alla Cresima come avveniva all'inizio del cristianesimo. Attuabile con maggior facilità è la costituzione di un gruppo diocesano sull'immigrazione per promuovere e sostenere iniziative di integrazione e accoglienza, così come la formazione di un osservatorio permanente della realtà giovanile.

«Con il Convegno - ha affermato il vescovo monsignor Pizziolo - abbiamo vissuto un'esperienza di grazia, in cui ci siamo ritrovati Chiesa comunione. Ora sarà necessario prevedere un momento ulteriore per una restituzione meditata e organica delle indicazioni concrete sulle quali opereremo poi come Diocesi». Tale momento si terrà nella terza settimana di giugno, mentre a gennaio avrà inizio la visita pastorale durante la quale monsignor Pizziolo visiterà le sue 162 parrocchie. 

venerdì 16 marzo 2012

La Curia Romana secondo Mons. Angelo Becciu


Bisogna guardare avanti


A colloquio con il sostituto della Segreteria di Stato arcivescovo Angelo Becciu


L’immagine della Curia romana troppe volte trasmessa nell’opinione pubblica non corrisponde alla realtà, che certo è nettamente migliore, offuscata tuttavia dalla grave slealtà di alcuni. E proprio la slealtà è alla base delle fughe di documenti che hanno avuto risonanza mediatica soprattutto in Italia. Su questo deplorevole e triste fenomeno è in corso un’indagine a vari livelli e l’auspicio è che si ricomponga un’atmosfera di fiducia. Il Papa, tenuto continuamente al corrente e addolorato, è tuttavia sereno e guarda avanti. Sono questi i punti principali di un colloquio del sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Becciu, con «L’Osservatore Romano».

«Non avevo mai lavorato qui, e da quando sono arrivato, lo scorso 31 maggio, ho a poco a poco scoperto persone dedite al servizio della Santa Sede, devote al Papa, competenti, sanamente fiere del loro lavoro». Diplomatico in sette Paesi di quattro continenti (l’Asia è quello mancante) e nunzio apostolico in Angola e a Cuba, monsignor Becciu tiene a sottolineare — in contrasto con l’immagine, diffusa in questi giorni, di una Curia come luogo di carrierismi e di complotti — come essa sia «una realtà lontana da simili stereotipi».

La memoria corre al discorso che il 21 settembre 1963 tenne Paolo VI: la Curia papale ha la funzione «d’essere custode o eco delle divine verità e di farsi linguaggio e dialogo con gli spiriti umani», poi «di ascoltare e di interpretare la voce del Papa e al tempo stesso di non lasciar a Lui mancare ogni utile ed obbiettiva informazione». Proprio da Roma «in questi ultimi cento anni è venuto quel governo regolare, indefesso, coerente, stimolatore che ha portato la Chiesa intera al grado non solo di espansione esteriore, che tutti devono riconoscere, ma di sensibilità e di vitalità interiore». La Curia, disse il Pontefice che vi aveva trascorso un trentennio, «non è un corpo anonimo, insensibile ai grandi problemi spirituali», e nemmeno «una burocrazia, come a torto qualcuno la giudica, pretenziosa ed apatica, solo canonista e ritualista, una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi, come altri la accusano», ma «una vera comunità di fede e di carità, di preghiera e di azione». In questo modo — concludeva Paolo VI ricorrendo a un’immagine evangelica a lui cara — «come lucerna sul candelabro questa antica e sempre nuova Curia Romana» farà luce a quanti sono nella Chiesa.

Accenti analoghi si ritrovano nella visita che Benedetto XVI ha fatto alla sua Segreteria di Stato il 21 maggio 2005, poco più di un mese dopo l’elezione in conclave, e nelle parole allora improvvisate: «Alla competenza e alla professionalità del lavoro che viene fatto qui, si aggiunge anche un aspetto particolare, una professionalità particolare: fa parte della nostra professionalità l’amore per Cristo, per la Chiesa, per le anime. Noi non lavoriamo — come dicono molti del lavoro — per difendere un potere. Non abbiamo un potere mondano, secolare. Non lavoriamo per il prestigio, non lavoriamo per far crescere una ditta o qualcosa di simile. Noi lavoriamo realmente perché le strade del mondo siano aperte a Cristo. E tutto il nostro lavoro, con tutte le sue ramificazioni, alla fine serve proprio perché il suo Vangelo, e così la gioia della Redenzione, possa arrivare nel mondo».

Ancora oggi il sostituto si sente di confermare questo giudizio positivo: il lavoro che si svolge oggi in Segreteria di Stato è «disinteressato e di buon livello, sia tra gli ecclesiastici, sia tra i laici». Negli ultimi tempi «qualcuno mi ha confidato che si vergognava di dire che lavorava in Vaticano — continua monsignor Becciu — e io gli ho risposto: alza la testa e siine invece fiero». I pochi che si sono comportati slealmente «non devono offuscare questa realtà positiva». Nei loro confronti l’arcivescovo usa parole dure: guardino piuttosto alla loro coscienza, perché è «slealtà» e «vigliaccheria» approfittare di una «situazione di privilegio» per pubblicare documenti verso i quali «avevano l’obbligo di rispettare la riservatezza».

Per questo la Segreteria di Stato ha disposto un’accurata indagine che riguarda tutti gli organismi della Santa Sede: a livello penale condotta dal Promotore di giustizia del Tribunale vaticano e a livello amministrativo svolta dalla stessa Segreteria di Stato, mentre una superiore commissione è stata incaricata dal Papa di fare luce sull’intera vicenda. «L’auspicio è che si ricomponga la base del nostro lavoro: la fiducia reciproca», che ovviamente presuppone «serietà, lealtà, correttezza». Benedetto XVI, nonostante il dolore che tutto ciò gli procura, «ci incoraggia tuttavia — conclude monsignor Becciu — a guardare avanti, e la sua testimonianza quotidiana di serenità e di determinatezza è uno stimolo per tutti noi».

martedì 13 marzo 2012

Il blog cambia indirizzo!



Cari amici,

vi avvisiamo che tra qualche giorno saremo raggiungibili al nuovo indirizzo www.servitedomino.blogspot.com. Il vecchio indirizzo www.ministrantimdg.blogspot.com non sarà quindi più attivo. Perché? Inizialmente il blog era nato - un po' per caso nel lontano 2009 - come pagina del gruppo dei chierichetti e ministranti della Parrocchia ma...visto che non è mai stato molto usato per questo scopo, è arrivato il momento di fare questa piccola modifica, e di allargare un po' l'orizzonte...anche nel nome della pagina web. 

Cambia l'indirizzo, ma il blog rimane lo stesso: nella forma, nei contenuti, nello stile. Continuate a seguirci, anche su Twitter (a questa pagina: Servite Domino su Twitter), dove le notizie e gli aggiornamenti sono più frequenti!

Ciao,
M.

giovedì 8 marzo 2012

Lavori in Vaticano




Nella Basilica di San Pietro le lampadine si cambiano così!
Sabato 3 marzo 2012.

venerdì 2 marzo 2012

Il cardinale Ravasi: «Così porto la Chiesa nel "cortile" di Twitter»



L’amore che non si rinnova ogni giorno e ogni notte diventa abitudine e lentamente si trasforma in schiavitù. Una frase, una citazione, 140 caratteri possono contenere un fulgore e una profondità che abbaglia.

Tra i cinquecento milioni di persone che ogni giorno si misurano con i brevi testi di Twitter c’è anche il cardinal Gianfranco Ravasi e la citazione di Kahlil Gibran è uno dei suoi più recenti tweet insieme con passi dei Vangeli, frasi di Sciascia e John Lennon, Gesualdo Bufalino e Goethe, versetti del Libro di Siracide e delle Lettere ai Corinzi. 
Il tutto con una logica: tweet laici la mattina, tweet religiosi la sera. È l’attento e meditato esercizio di introdurre complessità e senso nella rigida e, a volte, un po’ svagata, onda dei tweet. E, allo stesso tempo, una risposta al pregiudizio di una chiesa chiusa al progresso. È lo sforzo del presidente del Pontificio consiglio della Cultura, sbarcato sul social network «per curiosità», ma immerso nei 140 caratteri con l’impegno e la profondità degli uomini di Chiesa. 

Cardinale, come e quando ha cominciato ad usare Twitter? 

«Da migrante digitale, e non da nativo digitale, ho cominciato a percorrere queste strade in maniera molto ingenua e molto curiosa. Ecco, è stata questa curiosità che mi ha spinto a cominciare…». 

Lei smentisce lo stereotipo di una chiesa chiusa al progresso? 

«Il mio compito è nell’ambito di un dicastero vaticano dedicato alla cultura. È, dunque, quello di avere il respiro nel cortile, non tanto nel tempio, più nella piazza che nel palazzo. Questo vale per tutta la cultura, non solo per il Vaticano, perché attualmente non c’è più il concetto aristocratico di cultura, c’è quello antropologico della cultura industriale. Ed è per questo che io sono uscito nel cortile. Ma ritengo che tutta la chiesa debba essere anche sulla piazza e non solo tra gli incensi del tempio». 

Concetti profondi nella brevità di Twitter: è questa la sfida della chiesa? 

«Uno degli aspetti più interessanti di Twitter è il vincolo del restare nella gabbia dei 140 caratteri. Questo ti costringe non soltanto all’incisività, al fulgore, al bagliore, ma anche al rigore. E questo va contro una certa tendenza attribuita all’eloquenza sacra, la quale, diceva Voltaire, “è come la spada di Carlo Magno, lunga e piatta...”, perché i predicatori quello che non sanno dare in profondità, cercano di darlo in lunghezza». 

Non c’è il rischio di snaturare il messaggio della chiesa? 

«Questa è una domanda capitale, perché effettivamente percorrere le arterie di questo nuovo mezzo di comunicazione, non deve far dimenticare che il linguaggio è molto più sontuoso e glorioso, soprattutto quello religioso che ha secoli di elaborazione alle spalle. Per questo non si deve mai abbandonare la subordinata. L’informatica pretende le coordinate, le frasi brevi, mentre la filosofia, la teologia, la grande cultura, prediligono le subordinate, le deduzioni, le ramificazioni. Non usiamo Twitter in modo ingenuo». 

Lei ha oltre 13mila follower ma segue solo 32 persone. Segue altri cardinali, direttori di giornali, ma ci è sembrato di vedere solo un politico: Matteo Renzi. È una scelta di campo? 

«Per me è una sorpresa, non ci avevo fatto caso. Ma, al di là di Renzi, devo dire che il senso della mia partecipazione a Twitter è rivolta anche verso i non credenti e in particolare verso i polemici… In questi tempi in cui si parla molto di Ici della hiesa, su Twitter sono stato ininterrottamente bersagliato e devo dire che la palma del tweet più divertente va alla mia follower che ha parafrasato il motto di Sant’Agostino “Oh Signore fammi casto ma non subito” in “Oh Signore fammi catasto ma non subito”». 

Questa sua familiarità con il web ha trovato delle resistenze nel Vaticano? 

«Che ci siano delle perplessità è normale, a volte le ho anche io. Spesso c’è una deriva nella comunicazione informatica. E va approfondito l’impatto sulle culture giovanili, perché un ragazzo che sta cinque ore ogni giorno davanti a un computer muta antropologicamente. Ma d’altra parte, stare sul web è necessario perché è una nuova grammatica di linguaggio. E molti vescovi cominciano a frequentare il web: il vescovo di Soissons ha inventato le tweetomelie. Un modo per raggiungere un orizzonte di persone che non metteranno mai piede in una chiesa». 

Anche il Santo Padre è sbarcato su Twitter. È stato lei a consigliarlo? 

«No, il merito è di monsignor Celli, presidente del Pontificio consiglio delle Comunicazioni sociali e responsabile Vaticano di questo settore. Però recentemente con Benedetto XVI abbiamo a lungo parlato di questi argomenti ed era molto incuriosito dalla decifrazione di quello che io chiamo il “sesto potere”. Un potere che ha veramente una efficacia imperiale. Perché non si tratta più di un aggregato come poteva essere la televisione con l’occhio o il telefono per l’orecchio. È un vero e proprio ambiente in cui siamo immersi anche se non vogliamo esserlo…».

29 febbraio 2012