sabato 15 ottobre 2011

Palombella: un anno da Direttore



La Sistina non è un pezzo da museo
Coniugare una tradizione unica al mondo con la vocalità moderna. Questa la sfida principale che deve affrontare la Cappella Musicale Pontificia "Sistina", secondo il maestro Massimo Palombella, che da un anno la dirige. "Le acquisizioni tecniche del Novecento devono essere conosciute da chi fa questo lavoro, occorre inserire gradualmente il repertorio contemporaneo. La storia della musica non è finita e non potrà mai finire. Non si può ignorare la scuola francese del Novecento con tutto quello che ci ha consegnato, da Messiaen a Ravel, da Faurè a Poulenc o Duruflé".

Da dove siete partiti per realizzare questo progetto?

Per prima cosa abbiamo intensificato le prove, ora si prova quattro volte a settimana. Abbiamo un punto di partenza eccellente. I cantori sono venti, assunti a tempo indeterminato dalla Santa Sede, di livello artistico elevatissimo. Tra questi alcuni sono stati bambini cantori, anche perché quando si inserisce un elemento nuovo a parità di qualità si preferisce chi ha già acquisito le caratteristiche principali del modo di cantare della Cappella Sistina. Su queste basi occorre costruire un futuro che metta assieme una tradizione di cantabilità e declamazione del testo, che caratterizza la Sistina, con ciò che la vocalità del Novecento ci ha positivamente consegnato.

Cioè?

La precisione dell'intonazione, in particolare, favorita da ciò che di scientifico oggi sappiamo, per esempio sull'intonazione delle terze e delle quinte. L'attenzione all'articolazione interna del testo e alla sua declamazione, specialmente sul modo di affrontare vocali e consonanti. La chiarezza del fraseggio al quale attenersi in modo assoluto e scrupoloso sia per rendere l'idea della frase musicale, sia per la corretta declamazione. Per ultimo il mantenimento dell'intonazione durante l'articolazione del testo. Per fare questo si può fare riferimento anche a ciò che nel mondo sta avvenendo riguardo alla vocalità. Occorre uscire da un'implicita autoreferenzialità della Cappella e guardarsi intorno. Gli inglesi, come in altri termini i tedeschi e anche la tarda scuola francese, hanno da insegnarci molto circa la precisione dell'intonazione, dell'articolazione del testo e del fraseggio. Possiamo non condividere il loro modo di cantare, che di fatto non appartiene alla tradizione "latina" di canto, ma va riconosciuto che quegli atteggiamenti sono coerenti nella loro scelta estetica e questo, da musicisti, non possiamo che lodarlo. Rischiamo altrimenti di fare della nostra comprensione estetica l'unica possibile. I cd di Palestrina registrati dal Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretto da Roberto Gabbiani, ad esempio, realizzano una interpretazione che possiamo non condividere per diversi motivi, ma bisogna onestamente riconoscere una disarmante coerenza interna, una maniacale ricerca della precisione dell'intonazione. Occorre in sostanza avere l'onestà di riconoscere una precisa "scelta estetica" che non può non essere apprezzata e assunta come modello metodologico (la stessa cosa si può dire per Westminster Abbey, Tallis Scholars e altri gruppi). In sostanza senza un sano confronto non esiste una vera crescita culturale-artistica e si corre il rischio di erigere a modello segmenti di storia che possono invece rappresentare - considerati in un'ampia arcata storica e in una doverosa comprensione sinottica - momenti di decadenza.

Quindi metodo scientifico e tradizione esecutiva antica?

La Sistina deve avere un vastissimo repertorio che comprenda quello che ha caratterizzato la sua storia. In concerto, in particolare, deve eseguire quello che nessuna altra cappella musicale può vantare. Noi possiamo cantare opere che Palestrina ha scritto per noi. Se andiamo a fare un concerto non possiamo proporre quello che proporrebbe un coro di parrocchia, ma dobbiamo programmare brani polifonici da cinque voci in su. Questo repertorio antico deve essere l'"ordinario" della Cappella, deve essere frequentato continuamente e deve diventare un corpus importante. Per questo nell'agosto scorso abbiamo assemblato un libro di studio che contiene mottetti, offertori e composizioni latine di Palestrina, in poche parole l'identità della Cappella. E questo repertorio va anche utilizzato continuamente nelle celebrazioni. In particolare gli offertori.

Quali in particolare?

Proprio quelli di Palestrina, l'unico compositore che ha musicato tutti gli offertori dell'anno liturgico. Per questo noi, a ogni celebrazione papale, cantiamo un offertorio palestriniano. E lo dobbiamo fare con le caratteristiche che ci contraddistinguono da sempre: canto "in voce", mai in falsetto, che serve a riempire i grandi spazi nei quali siamo chiamati a cantare, e perfetta declamazione del testo, per garantire la comprensibilità della Parola. È un dovere, se non lo facciamo noi non lo fa nessuno. 

E poi?

A questo va altrettanto doverosamente coniugata un'apertura assoluta al repertorio internazionale. In Inghiltera, negli Stati Uniti, in Francia, in Germania c'è una produzione di musica liturgica contemporanea importante. Queste cose vanno gradualmente metabolizzate, proprio perché la Sistina sia un punto di riferimento internazionale, che esprima nel suo operare la cattolicità della Chiesa. È in stampa a questo scopo un libro di studio nel quale saranno inseriti brani di repertorio che vanno dall'inizio del Novecento a oggi. Non so ancora come li collocheremo nelle celebrazioni o in concerto, ma sono certo che faccia bene ai cantori frequentare autori come Duruflé, Schnitzel, Fauré, Perosi, Refice, Molfino, Bettinelli, Bianchi, Poulenc, Dupré, Gorecki, Lauridsen, Stanford e molti altri. Dobbiamo farlo per evitare che la Cappella Musicale Pontificia diventi un pezzo da museo.

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