lunedì 22 ottobre 2012

Benedetto XVI e il fanone


«Il sacro non va mai in museo»

«Il sacro non va mai in museo». Risponde senza alcuna esitazione e con grande chiarezza don Nicola Bux all’obiezione che la scelta di Benedetto XVI di indossare paramenti ormai desueti possa offrire l’immagine di un Pontefice antiquato che ama gli abiti da museo. Amico di lunga data di Joseph Ratzinger, che nel 1997 presentò il suo libro “Il quinto sigillo”, Bux è consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e delle Cause dei Santi e dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie.
Proprio in quest’ultima veste ha lavorato alle modifiche alla liturgia papale che i fedeli e non solo di tutto il mondo hanno potuto notare, domenica scorsa, in occasione della canonizzazione di sette nuovi beati presieduta da Benedetto XVI. Un Papa liturgicamente inedito, quello che si è mostrato agli occhi di coloro che assistevano al rito in piazza San Pietro o lo seguivano in diretta televisiva. Papa Ratzinger, infatti, per la prima volta dall’inizio del suo pontificato, ha indossato il fanone papale, un paramento ormai desueto, utilizzato l’ultima volta, quasi trent’anni fa, da Giovanni Paolo II.

Don Nicola Bux perché Benedetto XVI ha indossato il fanone papale?
«Il fanone, si indossa sulla pianeta, ed è formato da due mozzette sovrapposte l’una all’altra; quella inferiore è più lunga di quella superiore. È di stoffa bianca e aurea, a lunghe linee perpendicolari, separate da una striscia amaranto o rossa. Sul petto sta una croce ricamata in oro».

Qual è il significato liturgico del fanone papale?
«Simboleggia lo scudo della fede (cfr. Efesini 6,16) che protegge la Chiesa cattolica, rappresentata dal Papa. Le fasce verticali di colore oro e argento, rappresentano l’unità e l’indissolubilità della Chiesa latina e orientale».

Per la prima volta, domenica scorsa, il rito della canonizzazione è stato anticipato prima dell’inizio della Messa. Era successo anche con il concistoro per la creazione dei nuovi cardinali a febbraio e, ancora prima, con il canto della Calenda la notte di Natale. Qual è il motivo di queste scelte?
«La ragione è di far cogliere sempre meglio la differenza tra ciò che appartiene al rito eucaristico della Messa e ciò che invece vi è aggiunto eccezionalmente. Oggi sempre più si tende a infarcire la Messa di altri riti o a fare commistioni indebite o a sovrapporvi frequentemente altri riti sacramentali. Tutto ciò finisce per non far percepire ai fedeli i contorni del Sacrificio Eucaristico, come dei singoli sacramenti e sacramentali, inducendo a ridurre la Messa a un palinsesto da riempire a piacimento».

Non c’è il rischio che agli occhi dei credenti e di tutto il mondo l’immagine del Papa con indosso vesti liturgiche desuete o le continue modifiche nella struttura dei riti da lui presieduti possano far apparire Benedetto XVI un Pontefice antiquato che ama indossare abiti da museo?
«Nessun rischio, ma il segnale che nella Chiesa c’è continuità di magistero: ciò che era sacro rimane sacro. L’indumento indossato per la prima volta da Benedetto XVI in questa canonizzazione, è stato indossato da Giovanni Paolo II come da Paolo VI, da Giovanni XXIII come da Pio XII. Quel che oggi si deve tornare a comprendere è che i paramenti liturgici non seguono le mode umane ma vogliono rendere gloria a Dio. I sacerdoti e i vescovi fino al Papa sono ministri cioè servi - il Papa è servus servorum Dei - quindi dinanzi alla Maestà divina devono presentarsi col massimo della dignità. La ricchezza dei paramenti ne è il segno sebbene mai abbastanza adeguato, e vi deve corrispondere la purezza del cuore e la castità del corpo, come scrive san Francesco nella Lettera ai Fedeli. Il sacro non va mai in museo. La corsa odierna alla musealizzazione della suppellettile sacra ha del patologico, quando non è giustificata dal motivo di salvaguardarne la conservazione. I paramenti sono in gran parte frutto di donativi del popolo di Dio per conferire splendore al culto divino. La modifica della struttura dei riti corrisponde all’esigenza di restaurare quanto si è deformato per l’usura del tempo o il cedimento alle mode del momento, onde permettere ai riti di esprimere più chiaramente la lex credendi della Chiesa. A differenza della beatificazione, la canonizzazione per esempio, è un atto solenne del magistero pontificio, che dichiara ex cathedra, cioè in modo infallibile, che alcuni suoi figli godono sicuramente della visione beatifica di Dio nel Paradiso, e possono essere invocati come intercessori e additati come esempi per tutta la Chiesa e non solo per le Chiese particolari».

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