martedì 31 gennaio 2012

Moraglia. Un Patriarca che "serve la fede e prega per la sua Chiesa"

L'intervista di Radio Vaticana al neo Patriarca di Venezia,
S.E. Mons. Francesco Moraglia.


Il Papa ha nominato oggi il nuovo Patriarca di Venezia: è mons. Francesco Moraglia, finora vescovo della Spezia-Sarzana-Brugnato. Mons. Moraglia è nato a Genova il 25 maggio 1953: fra poco meno di quattro mesi compirà quindi 59 anni. Ordinato sacerdote il 29 Giugno 1977, ha proseguito gli studi presso la Pontificia Università Urbaniana conseguendo il Dottorato in Teologia Dogmatica nel 1981. Nel suo ministero è stato chiamato a svolgere il compito di educatore presso il Seminario arcivescovile maggiore e di vice-parroco in una parrocchia di Genova. È stato insegnante di Teologia Dogmatica presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, preside presso l'Istituto di Scienze Religiose Ligure e assistente diocesano del Meic, il movimento ecclesiale d’impegno culturale. Ha, inoltre, diretto l'Ufficio diocesano per la Cultura e il Centro Studi "Didascaleion". È stato membro del Consiglio presbiterale diocesano e canonico del Capitolo. Il 6 dicembre 2007 è stato eletto alla sede vescovile di La Spezia-Sarzana-Brugnato, ricevendo l’ordinazione episcopale il 3 febbraio 2008. È presidente del Consiglio di amministrazione della fondazione “Comunicazione e Cultura” e consultore della Congregazione per il Clero. Sergio Centofanti ha intervistato mons. Francesco Moraglia, chiedendogli innanzitutto come abbia accolto la nomina del Papa:

Lo stato d’animo al momento è stato quello di trepidare. Trepidare perché uno si sente proiettato in una situazione che finora non gli apparteneva e per molti versi non immaginava neanche. Quindi, la prima sensazione è stata proprio questo interrogarsi su questa nuova realtà. Poi, sono andato in cappella e parlando con il Signore nel tabernacolo gli ho detto: “In fin dei conti ci sei tu, e quindi mi fido di te”. 

Lei va nella sede di Venezia in un momento molto critico per l’Italia, per l’Europa. Che cosa dire in proposito?

La realtà ecclesiale partecipa, ovviamente, di tutta la contestualizzazione sociale, politica, economica e finanziaria che grava questo preciso momento storico. Con l’idea di essere vescovo e di cercare di guardare la situazione a partire dall’uomo, e quindi immaginando che la crisi prima che sociale, prima che politica, prima che finanziaria sotto certi punti di vista sia una crisi antropologica culturale, e quindi avere un po’ questa attenzione a tutto ciò che è umano, a tutto ciò che caratterizza l’uomo, a tutto ciò che costituisce l’uomo, evidentemente con una prospettiva cristiana, poi, perché tutto ciò che è umano è cristiano, e tutto ciò che è cristiano appartiene all’umano. Ecco, direi in questa prospettiva.

Come ridare fiducia alla gente, oggi?

Io penso che un primo modo, per il vescovo, sia quello di amare la sua gente, di far capire alla gente che c’è questo sentimento di amore, di vicinanza: stare in mezzo a loro. Poi, conoscersi reciprocamente perché certamente un vescovo deve anche parlare, deve anche guidare… Però credo che il parlare, il guidare non possa mai prescindere dall’essere uno di loro, stare in mezzo a loro anche se con la caratteristica propria della missione del vescovo.

In particolare, la priorità di oggi sono i giovani: pensiamo ai tanti giovani senza lavoro…

Solo in Italia i dati fanno rabbrividire, perché parliamo di un 30 per cento di giovani tra i 14 e i 25 anni che non hanno lavoro, con tutto quello che questo determina a livello di insicurezza di questi ragazzi di fronte al futuro. Io molte volte dico ai nostri giovani: “Voi siete il futuro!”, ma dobbiamo dirglielo in modo coerente, dando loro un presente diverso. E certamente, questo 30 per cento di giovani senza lavoro ha poi una ricaduta anche sulle scelte che chiaramente debbono essere fatte in questa fascia di età, tra i 14 e i 25-30 anni, e che non possono essere fatte e che vengono posticipate evidentemente con una situazione di distorsione anche nelle generazioni future. Anche questa è una cosa su cui dobbiamo riflettere molto.

Lei lascia La Spezia: con quali sentimenti e con quale bilancio?

Il bilancio lo lascio fare al Signore e poi anche alle persone che hanno partecipato a questo cammino ecclesiale di quattro anni. Io lascio La Spezia con l’idea di essere stato ancora solo nella fase iniziale del mio ministero. La lascio con nostalgia, ma con vera nostalgia, perché alla Spezia con l’aiuto del Signore mi sono trovato bene, ho cercato di fare quello che ho potuto. Ringrazio il Signore per gli incontri con la gente, per le visite pastorali, purtroppo interrotte, per l’esperienza della pastorale giovanile vocazionale perché da sette seminaristi siamo passati ad averne 17: una comunità seminaristica, quindi, che fa sperare bene anche perché c’è bisogno nel presbiterio di avere questa luce sul futuro. E poi, la religiosità popolare che ha avuto dei momenti alti, dei momenti di preghiera nei pellegrinaggi del primo sabato del mese in cui, oltre alla preghiera mariana, alla celebrazione eucaristica ed alla meditazione, c’è stato anche un incontro con le persone nelle ore che seguivano lo spazio religioso. Credo che in quella mezza giornata mensile si siano costruite molte cose a livello ecclesiale, perché poi queste persone le ritrovavamo anche in altri momenti della vita ecclesiale. L’ultima cosa di cui ringrazio il Signore, è che si è aperta la scorsa domenica l’instaurazione dell’adorazione perpetua in diocesi: 365 giorni all’anno, per 24 ore al giorno, con 700 adoratori impegnati ed un altro movimento, che si è impegnato in questi mesi con la diocesi, che sta muovendo i primi passi in modo davvero promettente.

Il Papa ha proclamato, per quest’anno, l’Anno della fede. Come riportare la fede tra gli uomini?

L’Anno della fede, a 50 anni dal Concilio Vaticano II e a vent’anni dalla promulgazione del Catechismo nella Chiesa cattolica, è un’opportunità che dobbiamo cogliere attraverso un ascolto profondo dello Spirito Santo. Penso che il punto di partenza di ogni realtà ecclesiale, sia per fedeli e sia per i pastori, sia indubbiamente una fede forte. La fede è una realtà personale, non individuale, e questo Anno della fede credo che debba proprio segnare una novità in tal senso. Nella mia diocesi della Spezia si era discusso un po’ per trovare e creare qualche evento e qualche avvenimento. Tra poco mi recherò a Venezia e vedrò quello che era già stato programmato e deciso. Prima di tutto ascolterò la realtà che incontrerò, però vorrei anche che l’Anno della fede fosse colto ed individuato all’interno di quello che è già il cammino della Chiesa veneziana, all’interno anche del Triveneto, che sta facendo un cammino importante verso Aquileia 2. Proprio lì, durante questi mesi e queste settimane, mi sembra stiano ormai tirando le fila di un cammino biennale. Ho già posto la mia attenzione nel vedere quello che è stato fatto e quello che si sta facendo, proprio per poter entrare in sintonia con il cammino della Chiesa di Venezia.

Quali sono, a questo punto, le sue speranze più profonde?

Le speranze più profonde sono quelle di essere in mezzo alla gente come colui che è mandato per servire la fede. Non essere, quindi, padrone della fede della mia gente quanto piuttosto collaboratore della gioia di queste persone. Penso quindi che la prima cosa che un vescovo deve fare è pregare per la sua Chiesa. Inoltre, lo ripeto, stare in mezzo a loro e, quando si è maturato un discernimento – ascoltando anche gli altri -, vedere “il possibile”. La pastorale vuol dire proprio misurarsi col “possibile” all’interno di una situazione concreta.

Un profilo del nuovo Patriarca di Venezia

"Uomo di tradizione, si sveglia alle 4.30. Fu segnalato anche per la Diocesi Milano". Un primo profilo del nuovo Patriarca di Venezia, Mons. Francesco Moraglia.

di Alessandro Zangrando, dal Corriere del Veneto


E' difficile dare una valutazione dell'operato di un vescovo. Abbiamo di fronte una guida spirituale, non un amministratore delegato, che viene giudicato dai numeri del fatturato. Ma un indicatore, semplificando, alla fine si può trovare. E si trova fra le mura del seminario. Quello di La Spezia, dal marzo 2008, quando Francesco Moraglia fece il suo ingresso in diocesi, a oggi, ha raddoppiato il numero degli aspiranti preti. Genovese, 58 anni, monsignor Moraglia parte per Venezia dove porrà termine a una «vacatio» di oltre otto mesi. La sua nomina è frutto di un largo consenso tra i cardinali italiani, e lavorerebbe invano chi volesse trovarci cordate o intrighi. Di sicuro il sostegno maggiore lo ha dato il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, che lo ha consacrato vescovo il 3 febbraio 2008 assieme a monsignor Mauro Piacenza, ora cardinale e prefetto della Congregazione per il Clero. Lo stima e lo conosce bene Tarcisio Bertone, segretario di Stato.

Così come i cardinali Carlo Caffarra (arcivescovo di Bologna) e Giacomo Biffi (emerito di Bologna), che a suo tempo segnalarono Moraglia per la cattedra di Milano. Piace anche all'ex patriarca Angelo Scola, ora arcivescovo di Milano, che in Moraglia vede una sensibilità culturale in grado di accogliere l'eredità Marcianum, il polo pedagogico-formativo, e la fondazione Oasis, che si occupa del dialogo tra cristiani e musulmani. Tutti contenti, allora? Uno sconfitto comunque c'è: la comunità di Sant'Egidio, fondata a Roma dal ministro Andrea Riccardi, che avrebbe preferito l'arrivo in Laguna di monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni. Mezza sconfitta anche per i vescovi del Triveneto che a maggioranza relativa avevano indicato il trevigiano Andrea Bruno Mazzocato, arcivescovo di Udine, per la successione a Scola. Ma chi è la persona che ormai viene indicata come il nuovo patriarca? Ordinato sacerdote nel 1977, Moraglia è noto per la sua capacità di lavoro. Sveglia alle 4.30, trascorre lungo in tempo in preghiera prima di dedicarsi agli impegni quotidiani. Una giornata che trascorre senza pause, in cui riesce a inanellare anche 4-5 appuntamenti pubblici al giorno fra cresime, pontificali e convegni, spesso in luoghi distanti fra loro. «Non si tratta di puro attivismo - spiega chi lo conosce bene - ma è un atteggiamento che nasce dalla consapevolezza che il prete deve essere capace di un grande dinamismo all'interno della Chiesa e della società.

Un dinamismo però che deve essere inteso nel giusto modo. Secondo Moraglia il sacerdote oggi vive una crisi di identità e spesso considera la propria situazione come un lavoro, con un vero e proprio orario di ufficio. Per superare questa crisi, deve ritornare la spiritualità del ministero. Insomma, meno Facebook e Tv, più ore in confessionale». Qualcuno si è già spaventato per la fama di «tradizionalista» che accompagna il vescovo di La Spezia. Ricordiamo però che proviene da una regione in cui non si è spento il ricordo del cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova. Siri contestò molte applicazioni della riforma liturgica, e fu considerato il capofila dei cardinali conservatori. Ma allo stesso tempo fu l'arcivescovo dei camalli, sempre vicino ai suoi genovesi ed ebbe grande popolarità. Questa impronta di rigore è ancora sentita in Liguria, da tutti i preti, progressisti e non. Inoltre, il vescovo di La Spezia è certamente un ratzingeriano solido, condivide con il Papa l'attenzione alla liturgia (è molto amico del cerimoniere Guido Marini) e ne appoggia la linea di riforma e di lotta agli abusi. Chiamiamolo tradizionalista, allora, se proprio vogliamo (più corretta la definizione di «uomo di Tradizione »), come appunto «tradizionalista» è il Papa stesso. Ma Moraglia conosce profondamente la realtà e la modernità. Sa bene come funzionano i media, dal momento che è presidente della Fondazione Comunicazione e Cultura della Cei. Ma soprattutto, come il suo maestro Siri, ha un'attenzione acutissima verso le questioni sociali. Gli spezzini ricordano l'impegno per la riconversione della San Giorgio e per la ricollocazione degli operai licenziati. Se i posti si sono salvati è stato anche per l'operato del vescovo. Lo scorso ottobre, poche ore dopo l'alluvione, dopo aver annullato tutti gli impegni, era sui luoghi del disastro, «precettando» fra l'altro i seminaristi, che per una settimana hanno spalato fango con gli abitanti delle zone colpite. Forse è proprio per questa unione di attenzione verso gli aspetti sociali e serietà, che Moraglia è riuscito a farsi rispettare e dialogare e sintonizzarsi con l'amministrazione locale di centrosinistra. Per questo Venezia non ha motivi per temerlo.

giovedì 26 gennaio 2012

Moraglia sale in gondola...da Patriarca!

Le voci dell'imminente nomina di S.E. Mons. Moraglia a nuovo Patriarca di Venezia si stanno intensificando in questi ultimi giorni. Anche il vaticanista Andrea Tornielli ne parla nell'articolo che riportiamo qui sotto: "Moraglia sale in gondola". Dopo sette mesi di attesa è quindi in arrivo il successore del Card. Scola nella Serenissima. L'annuncio dovrebbe essere dato sabato 28 gennaio.


Benedetto XVI ha scelto il successore del cardinale Angelo Scola sulla cattedra di San Marco: è il vescovo di La Spezia, Francesco Moraglia, di origini genovesi. L’annuncio è atteso a giorni e l’ingresso nella diocesi della Serenissima potrebbe avvenire entro marzo.

Si conclude così l’attesa durata sette mesi, dopo la nomina di Scola a Milano. La «macchina» delle consultazioni per la scelta del successore si è messa in moto con notevole ritardo, complice anche il fatto che dopo l’estate è cambiato il nunzio apostolico in Italia: l’arcivescovo Giuseppe Bertello, che aveva gestito il dossier Milano, è stato promosso alla guida del Governatorato e ora diventerà cardinale, mentre al suo posto di ambasciatore vaticano presso il Quirinale è stato scelto il nunzio in Argentina Adriano Bernardini.

Moraglia è nato a Genova, il 25 maggio 1953 ed è stato ordinato sacerdote dal cardinale Giuseppe Siri il 29 giugno 1977. Dottore i teologia dogmatica, è stato direttore dell’ufficio per la Cultura e l’Università della diocesi genovese; assistente diocesano del Meic; docente di cristologia, antropologia, sacramentaria e di storia della teologia alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale; preside e docente dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose Ligure. Nominato vescovo di La Spezia-Sarzana-Brugnato nel dicembre 2007 da Benedetto XVI, ha ricevuto l’ordinazione dal cardinale Angelo Bagnasco nel febbraio 2008. Attualmente ricopre l’incarico di presidente del consiglio di amministrazione della Fondazione «Comunicazione e Cultura», che sovrintende ai media della Conferenza episcopale italiana.

Il nuovo patriarca può essere considerato un ratzingeriano, sia dal punto di vista teologico che liturgico. Ma le cronache spezzine hanno più volte registrato anche le sue prese di posizione in favore degli operai disoccupati: il vescovo Moraglia si era infatti interessato personalmente della situazione dei disoccupati dell’ex fabbrica di elettrodomestici San Giorno. Mentre nei giorni scorsi è stato presente alla manifestazione dei sindacati di La Spezia contro la manovra del governo, manifestando vicinanza e dicendo loro di condividere «la preoccupazione dei lavoratori» in un momento in cui è a rischio «la coesione sociale».

Lo scorso ottobre alcuni centri della diocesi spezzina – Monterosso, Brugnato e Borghetto Vara – erano stati travolti dal fango dell’alluvione. Moraglia da quel momento, ha annullato ogni impegno in agenda e ha percorso in lungo e in largo tutte le zone alluvionate. «Quello che più mi ha colpito – ha detto visitando i paesi sommersi dal mare di fango – sono le persone, la loro capacità di esprimere, nella tragedia, un supplemento di umanità. Sono edificato dalla loro dignità, dalla voglia di ricominciare. C’è gente che ha perso tutto, eppure non manca di incoraggiare altri, magari anche meno sfortunati». Moraglia ha chiesto al rettore del seminario diocesano di inviare i seminaristi a collaborare ai soccorsi: «Queste vicende sono una scuola di vita: aiutano a essere più uomini. Impareranno qualcosa di vero e reale.

Anche questo è importante per la loro formazione. Il nostro compito è stare in mezzo alla gente. Stai a sentire le persone, cerchi di tirar fuori quello che hanno dentro, incoraggi, dai una carezza. Finché c’è un rapporto forte tra parroco e comunità, ogni difficoltà può essere guardata con la certezza che sarà superata. Questa alleanza permetterà di riscoprire quella dimensione umana che abbiamo perso con il consumismo e con un’educazione che non aiuta i giovani a gustare la fatica della conquista».

La sede veneziana è uno dei tre patriarcati della Chiesa latina, insieme a Gerusalemme e Lisbona. La nomina di Moraglia non è stata oggetto di discussioni nelle riunioni ordinarie della Congregazione per i vescovi, perché, come accaduto in molti altri casi, il Papa aveva già a disposizione una documentazione sufficientemente completa.

martedì 24 gennaio 2012

Silenzio e parola secondo Papa Benedetto


Nella Festa di San Francesco di Sales viene pubblicato il Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Il tema di quest'anno è "Silenzio e parola: cammino di evangelizzazione".
Riportiamo qui sotto il commento del gesuita Padre Antonio Spadaro, Direttore della Rivista Civiltà Cattolica, pubblicato nel suo blog Cyberteologia.




Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione. Il titolo del messaggio per XLVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2012 tiene unite due parole che nella accezione comune sono opposte: quando non si parla c’è silenzio; appena si parla sparisce il silenzio. Sembra ovvio, chiaro, banale persino. Spesso, quando si parla dei media, si dice come per un automatismo, che essi fanno “rumore”, frastuono dal quale ripararsi, “ritirarsi”.
Il Papa in questo suo messaggio capovolge la prospettiva e ci propone un modo differente di vedere le cose e di leggere il significato del silenzio e della parola.

1. Parola e silenzio si integrano e non si oppongono –– Il messaggio del Papa scardina l’opposizione tra silenzio e parola, che ha la sua verità, ma solamente in casi estremi. Il Papa in questo suo messaggio chiaramente che il silenzio è parte integrante della comunicazione, parte della parola, della capacità dell’uomo di parlare, non il suo opposto. Parola e Silenzio sono due elementi imprescindibili e integranti del processo comunicativo. E tra di loro si integrano e non si oppongono. Si deve sperare che da oggi in poi non si debba più assistere ad elogi del silenzio in sé e per sé, al di fuori dii un tessuto comunicativo. Chi prega sta in silenzio, ma in realtà non è di per sé vero. Chi prega elabora un linguaggio di comunicazione con Dio ed è proprio per elaborare questa parola, questo discorso, che tace esteriormente.

2. Comunicare non significa trasmettere messaggi –– Il messaggio del Papa scardina anche un’altra errata convinzione. Infatti noi, bombardati da messaggi, pensiamo troppo spesso che comunicare significhi semplicemente trasmettere, parlare, riversare contenuti e informazioni. Invece il Papa ci ricorda che oggi si fa troppa attenzione a chi parla e si dimentica che la comunicazione vera è fatta di ascolto, di dialogo, che è fatto di ritmi di parola e silenzio. Il silenzio inoltre non è solamente ascolto degli altri, ma anche ascolto di sé. Non è una semplice “pausa” perché gli altri possano parlare, ma anche pausa perché la mia stessa comunicazione sia comprensibile: senza virgole, punti, punti e virgole (cioè silenzi) nel discorso non c’è vera espressione, non si creano le condizioni per intendersi. Il silenzio è “ordinato” alla comunicazione.

3. Il silenzio non è un “vuoto” –– Il messaggio del Papa scardina il pregiudizio per il quale il silenzio significa assenza di linguaggio, cioè “assenza”, vuoto puro. Il silenzio in realtà non è “nulla”, ma è uno spazio aperto, una dimensione di vita, un ambiente nel quale la parola può fiorire.  Il silenzio permette alla parola di diventare davvero luogo di esperienza e luogo di incontro, al di là del meccanisimo della information overload.

4. Il silenzio è parte di un ecosistema comunicativo –– Ma c’è un passo avanti ulteriore: acutamente il Papa scrive: “è necessario creare un ambiente propizio, quasi una sorta di “ecosistema” che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni”. Attenzione! Il Papa non dice che il silenzio è l’ecosistema della parola, ma che la comunicazione è questo ecosistema nel quale l’ecologia implica un equilibrio tra silenzio e parola. E aggiunge anche immagini e suoni. In questo modo il binomio tra silenzio e parola veine infranto dalla presenza dell’immagine e del suono, parte integrante della comunicazione umana.

5. La comunicazione oggi è guidata da risposte che cercando buone domande –– Il Papa, quindi passa a enucleare il nocciolo duro della comunicazione contemporanea, soprattutto legata alla Rete, considerando ciò che la muove come motore interno. Il Papa riconosce questo motore nel fatto che l’uomo è bombardato da risposte delle quali però non conosce le domande. Spesso sono risposte a domande che lui non si è mai posto. Il silenzio dunque permette di fare un discernimento tra le tante risposte che noi riceviamo per riconoscere le domande veramente importanti. Il capovolgimento di prospettiva operato dalle parole del Papa consiste nel fatto che in genere si dice che l’uomo si pone domande e poi cerca risposte. Oggi è invece vero il contrario. E in questo senso l’uomo di conferma come assetato di senso.

6. L’uomo esprime anche in Rete il suo bisogno di silenzio –– Cade un altro pregiudizio: che in Rete ci sia solo rumore. Il Papa nota che “sono da considerare con interesse le varie forme di siti, applicazioni e reti sociali che possono aiutare l’uomo di oggi a [...] trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio”. L’uomo in Rete esprime il bisogno di silenzio e in Rete si aprono spazi di silenzio comunicativo. Senza citare nessuna piattaforma o applicazione particolare, il Papa parla di “essenzialità di brevi messaggi, spesso non più lunghi di un versetto biblico” capaci di esprimere “pensieri profondi”. Come non pensare a Twitter o alla dimensione concentrata dei “messaggi di stato”? Come non pensare alle tante “apps dello spirito” che possono aiutare a pregare “se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità”, scrive il Papa.

domenica 22 gennaio 2012

Moraglia Patriarca? Forse ci siamo...



Mons. Francesco Moraglia, attuale vescovo di La Spezia, si avvicina a grandi passi a Venezia. E’ questo il nome che sarebbe stato già comunicato in via ufficiosa alla diocesi lagunare dal nunzio apostolico in Italia, Mons. Adriano Bernardini, in attesa della comunicazione ufficiale, attesa nei prossimi giorni. Francesco Moraglia sembra quindi essere il prescelto all’interno della pattuglia dei vescovi indicati per succedere in laguna al card. Angelo Scola dopo la sua nomina ad arcivescovo di Milano. Tra questi vi sono il vescovo di Terni, Vincenzo Paglia, quello di Trieste, Giampaolo Crepaldi, quello di Udine, Andrea Bruno Mazzoccato, mentre nei giorni scorsi tra i cattolici veneziani era corso il nome di mons. Beniamino Pizziol, appena nominato a Vicenza.

Per l’ingresso del nuovo Patriarca è stato scelto un giorno particolare per la sua doppia valenza religiosa e civile: il 25 marzo. In esso la Chiesa Cattolica celebra l’Annunciazione a Maria mentre la tradizione della Serenissima vi identifica il mitico giorno della fondazione di Venezia nel 421. In realtà l’iter per l’arrivo di mons. Moraglia sarà lungo e complesso. Nei giorni scorsi è già avvenuta la comunicazione ufficiale da parte del nunzio apostolico allo stesso prescelto, cui è seguita l’accettazione da parte di mons. Moraglia. Poi vi sarà la comunicazione ufficiale e contemporanea in Vaticano, nella diocesi di provenienza (La Spezia) e in quella di destinazione (Venezia). Seguirà la “presa di possesso”, atto canonico e civile, quindi l’ingresso.

Mons. Moraglia è nato a Genova il 25 maggio 1953, ordinato nel ’77 e nominato vescovo della Spezia nel 2007. Ha collaborato con il Segretario di Stato della Santa Sede, Tarcisio Bertone, quando questi era arcivescovo di Genova, ma anche con il presidente della CEI Angelo Bagnasco. E’ apprezzato da Papa Benedetto XVI che ha caldeggiato la sua nomina a presidente della fondazione “Comunicazione e cultura” della CEI, da cui dipende anche Tv2000, la televisione di proprietà della stessa Conferenza Episcopale italiana, richiesta di nomina ben accolta dallo stesso Bagnasco.

Sembra così destinata a concludersi la lunga attesa dei cattolici veneziani per avere un nuovo pastore. Un periodo di “vacatio” che è stato prolungato dalla contemporanea mancanza del nunzio in Italia, cioè della persone cui viene delegato l’iter di nomina dopo la scelta da parte di Papa Benedetto nella terna di nomi presentati dai vescovi.

22 gennaio 2012

martedì 10 gennaio 2012

Le "twittomelie", ovvero le prediche via Twitter


Le omelie in un tweet:
140 battute per parlare a un pubblico immenso


Tutti hanno avuto qualcosa da dire sulle prediche o meglio sulle omelie tenute durante le sacre funzioni. I fedeli si sono sovente lagnati per la lunghezza; non pochi esponenti della gerarchia ecclesiastica, di contro, hanno recentemente espresso preoccupazioni per il tono dimesso, gli errori proferiti e, purtroppo, per l'inconsistenza degli argomenti evocati. Le prediche lunghe stancano, certe altre possono favorire interpretazioni labili delle Scritture. Tanto più che sempre meno sacerdoti conoscono le lingue originali della Bibbia.

Il cardinale Gianfranco Ravasi, ministro vaticano della Cultura, l'ha pensata bella rilanciando la sfida di un vescovo francese, Hervé Giraud: far circolare le omelie attraverso Twitter. Certo, sono 140 battute, ma il pubblico a cui giunge il messaggio è vastissimo e il contenuto è possibile certificarlo. Non c'è la voce che tuona dal pulpito, ma poche parole facili da leggere che ricordano a tutti momenti e messaggi della fede cattolica.

Un tempo la predica si trasformava sovente in cultura. Per fare un esempio tra i molti possibili, basterà citare Giordano da Pisa che, al tempo di Dante, richiamava in Santa Maria Novella mezza Firenze: oggi i suoi vocaboli sono preziosi riferimenti nei dizionari della lingua italiana. Di oratori sacri è piena la nostra letteratura e anche padre Cristoforo - personaggio chiave de I promessi sposi di Manzoni - era un predicatore (venne mandato a piedi a raggiungere i pulpiti di Rimini). Oggi le parole delle omelie, o anche delle meditazioni per il giorno di festa, si perdono. In televisione il cardinale Ravasi ha un vasto seguito, così come altri predicatori (anche non cattolici) lo hanno trovato, magari grazie alle radio, ma questa via di Twitter va incontro a un pubblico completamente diverso.

Non stupiamoci: sono giovani o anche ragazzi. Per diverse ragioni, molti di loro non hanno mai ascoltato una predica. Twitter li informerà per la prima volta. Con 140 battute. Ma per colpire una sensibilità possono bastare.

09.01.2012